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I contenuti di questa pagina sono estratti prevalentemente dal libro di testo: Mario Ferrara e Graziano Ramina - Click & Net - edizione Clitt.

24 - storytelling, l'arte di narrare

Il raccontare, l’affabulare, tenere l’ascoltatore avvinghiato alle parole è un’arte che l’uomo ha coltivato sin dagli albori della sua storia. L’atto di narrare, la capacità di creare una trama, utilizzando tutte le tecniche della retorica e della narratologia, viene chiamato storytelling. È sempre difficile racchiudere in una definizione un tema vasto come quello legato alla narrazione. In sintesi, possiamo dire che lo storytelling è una tecnica che mira a raccontare una storia con l’obiettivo di coinvolgere e stimolare chi ci sta di fronte creando un rapporto empatico, dove per empatia si intende la capacità di immedesimarsi nei pensieri e negli stati d’animo di un altro. Lo storytelling è la tecnica di far calare totalmente un ascoltatore o uno spettatore in una storia, in un personaggio, e fargli vivere vicende, pensieri, sentimenti immedesimandolo, di volta in volta, nei vari personaggi.

Nelle storie, in tutte le storie, abbiamo degli elementi comuni; possiamo quindi sostenere che tutte le narrazioni presentano una comune “grammatica”, ovvero un insieme di convenzioni che regolano un particolare sistema.

Le diverse reazioni emotive, in termini di pensieri ed emozioni, determinano la “partecipazione”, l’immedesimazione, l’empatia.

Troviamo cantori e poeti che recitavano accompagnandosi con la lira nella tradizione greca. Giullari, menestrelli, trovatori nel Medioevo fino ai cantastorie della scuola poetica siciliana.

Nella nostra tradizione contadina, la figura del cantastorie che passava di piazza in piazza, di corte in corte, a raccontare eventi storici o di cronaca, aveva un ruolo molto importante. E i cantastorie non utilizzavano solo la parola, ma per creare attenzione, suspense, empatia, si facevano aiutare dalla musica (che fosse una chitarra, una fisarmonica o un organetto di Barberia) e da cartelloni su cui la storia veniva raffigurata, suddivisa in varie scene atte, appunto, alla “rappresentazione”. Lo storytelling, anche se ante litteram, è quindi un formidabile strumento di comunicazione, ed è tornato in maniera prepotente all’attenzione di chi si occupa professionalmente di “comunicare” prodotti o marchi proprio con l’avvento dei nuovi media, da internet ai social network.

Da questo nasce l’interesse strategico delle aziende per tale tecnica. Esse sono interessate a creare, attraverso la comunicazione, un legame sempre più coinvolgente e che sia fonte costante di stimoli, per coinvolgere, nella narrazione globale del proprio marchio, il loro target di riferimento. Cerchiamo allora di sviscerare gli elementi essenziali che fanno dello storytelling il mezzo di comunicazione privilegiato per la pianificazione comunicativa su più piattaforme. Prima di tutto bisogna “raccontare” un’azienda o un prodotto. Significa tradurre non solo in parole, ma soprattutto in aspetti coinvolgenti ed emozionanti, la storia e la mission dell’azienda stessa.

Questo coinvolgimento crea un legame tale da spingere il consumatore a interagire con l’azienda stessa. Non più comunicazione a senso unico, ma coinvolgimento in un dialogo, che presuppone interazione, tra azienda e fruitore.

La parola chiave che spiega l’efficacia di questa tecnica narrativa per la comunicazione è personalizzazione”.

Dialogo e fiducia percepita creano consenso, ma ad un patto: la capacità di essere “sinceri”. Altrimenti, la delusione di tutte le aspettative create diventa un boomerang nei confronti dell’azienda.

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Cosa fare prima di raccontare

Nel momento in cui si decide di utilizzare questo modo di comunicare e, quindi, i canali di comunicazione legati al web, bisogna prima di tutto mettersi in ascolto monitorando la rete per capire qual è la percezione che chi naviga ha dell’azienda, del brand o del prodotto che si vuole curare. Ma tutto questo ancora non basta. Contemporaneamente occorre capire quale sia la percezione che l’azienda ha di se stessa, in modo tale che il risultato finale rispecchi la realtà. La seconda fase del lavoro riguarda la necessità di “entrare” e partecipare attivamente alle conversazioni che si svolgono sui social media, interagendo con gli altri utenti. La terza fase presuppone il “duro lavoro”, analizzando il flusso delle opinioni degli utenti per imparare a gestirlo in maniera positiva. Il fine è quello di tutelare l’immagine aziendale in caso di situazioni negative, senza mai cercare scuse o, peggio, negando l’evento stesso. Si risulta infatti molto più credibili quando si ammettono gli errori compiuti, impegnandosi al tempo stesso a non ripeterli. Bisogna infatti cercare sempre di essere trasparenti nei propri messaggi. E soprattutto di essere etici, nel senso di essere ben chiari nei comportamenti pratici, nei mezzi messi in atto per conseguire dei fini, nei doveri verso se stessi e verso gli altri, nei criteri applicati per giudicare e consentire di giudicare le proprie azioni. Il mondo infatti è cambiato. Grazie ai social media non esiste più una comunicazione esclusiva delle aziende che andava in un’unica direzione. Nessun messaggio che funzioni viaggia più a senso unico. L’azienda, pertanto, non ha più il monopolio informativo: perciò, per comunicare, deve “partecipare” interloquendo attraverso il loro linguaggio e le loro regole.

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Tutti gli elementi espressi si possono trovare nel discorso tenuto il 12 giugno 2005 da Steve Jobs, cofondatore della Apple, all'Università di Stanford. In esso troviamo sviluppate le "regole" dello storytelling: il racconto di una storia coinvolgente e motivante, le difficoltà, i fallimenti, i sogni, fino al riscatto e al successo.

esempio di spot efficace

In questo spot, con la sola forza delle immagini, senza l'ausilio di parole, è stata messa in pratica la forza di uno storytelling efficace e persuasivo. In pratica è stato raccontato cosa puoi fare con un determinato oggetto (in questo caso uno smartphone della apple) e non quali fossero le caratteristiche tecniche. Si è puntato tutto sulle emozioni.

Crossmedialità

Abbiamo appena parlato di Storytelling e abbiamo detto che, per dispiegare tutte le sue potenzialità, ha bisogno di essere declinato sul web e sui social network.

Fare cross-media significa realizzare campagne di informazione, di promozione, di intrattenimento e di comunicazione in modo ‘integrato’, utilizzando cioè più media all’interno di grandi progetti editoriali. Dai format televisivi alla promozione cinematografica, dal giornalismo ai games, dalla brand communication alla fiction interattiva, dal marketing del racconto ai nuovi contents per cellulari e per la realtà aumentata. Le nuove narrazioni sono dovunque. Passano da un mezzo di comunicazione all’altro e contaminano il cinema con i videogames, la pubblicità con il mobile, la letteratura con la televisione e i social network, il web e le performance spettacolari. [...] La cross-medialità è l’opposto della convergenza. In questa, infatti, il contenuto è uno e i mezzi molti; al contrario nel cross-media ogni medium riceve, di un brand, la sua declinazione originale e irripetibile”.

Un prodotto crossmediale nasce per coinvolgere pubblici che possono essere contigui ma utilizzano mezzi di comunicazione diversi e, quando si rivolge allo stesso tipo di pubblico, cerca comunque di coinvolgerlo in ambiti differenti.

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I contenuti di questa pagina sono estratti prevalentemente dal libro di testo: Mario Ferrara e Graziano Ramina - Tecnologie dei processi di produzione - edizione Clitt.